Adesso la sua vita era come sospesa:
eseguiva macchinalmente ogni cosa: lavoro, telefonate di lavoro, casa, cucina,
amiche…
L’altra lei si alzava al mattino (dopo
una notte per lo più insonne) si vestiva, prendeva il bus, arrivava in ufficio
e sbrigava tutte le incombenze connesse, mangiucchiava qualcosa, riprendeva il
lavoro, staccava alla solita ora per prendere nuovamente il bus e raggiungere
casa dove parlava, cucinava, vedeva il tg e poi si attaccava al pc. La vera sé,
in tutto questo tempo, stava in simbiosi con cellulare, fisso e mails – tesa
unicamente ad esserci nell’istante in cui lui avesse desiderato contattarla.
“Ma come hai potuto restare coinvolta
in questo modo? Come hai fatto a seguitare a inseguire questa follia? Perché?
scusami tanto cara, ma tutto mi pare così… così… insomma, così poco da te!” ero
sempre più sbalordita, non potevo star parlando con la persona che conoscevo da
anni… “Già – disse XZY – mentre ti parlo anch’io non mi riconosco, e invece…
ero arrivata addirittura a pensare di presentargli mia figlia, sperando forse
di riuscire a legarlo in qualche modo a me. Non arrivavo ad individuare
esattamente il senso di questa eventuale conoscenza: volevo forse infilargliela
sotto le lenzuola per poi poterlo raggiungere io stessa? Mia figlia, capisci,
che è almeno di trent’anni più giovane e ha tutto un mondo da scoprire e
vivere! E anche se gliel’avessi condotta, come avrebbe poi potuto lui a
rivolgere a me la sua attenzione? Per riconoscenza, pietà, per abiezione: prima
la figlia e poi la madre? Come vedi ero proprio fuori di me”.
Tacque abbassando leggermente il capo,
gli occhi sui ghirigori della tovaglietta. Io ero ‘basita’, non trovavo nulla
da dire. Una grande pena era subentrata al primo momento di sconcerto
nell’udire questa confessione sempre più intima: mi sarebbe mai potuto
succedere?
segue...
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